Spettacoli

APOLOGIA DI SOCRATE DIALOGO SULLA GIUSTIZIA

Miralteatro d'estateTAU - Teatri Antichi Uniti

sabato 5 agosto 2023
21:15

Anfiteatro Parco Miralfiore

- posto unico €15

dall’opera di Platone
con Enrico Lo Verso
e con Fabrizio Bordignon
e coro di 8 attori in via di definizione
adattamento e regia Alessanda Pizzi
coreografie e movimento scenico Marilena Martina
produzione Ergo Sum

Fra tutte le opere di Platone, L’Apologia è certamente la più ricca d’informazioni riguardanti il pensiero di Socrate. L’opera appare come un’incondizionata difesa da parte dell’autore, Platone, della figura e dell’insegnamento del suo amato maestro, davanti alle gravi accuse che lo avevano portato al processo, la cui causa va certamente rintracciata nell’errata interpretazione del suo pensiero. Sebbene Socrate avesse avuto inizialmente alcune possibilità di scelta, per evitare la pena di morte, ammettendo la propria colpevolezza e andando in esilio, egli scelse di non tradire i propri ideali. Nel 399 a. C, dopo aver affrontato il processo, Socrate fu condannato a morte. Durante il processo a suo carico Socrate non mette in discussione le leggi, ma soltanto l’errore giudiziario di cui è vittima. Ma la sua sorte non lo autorizza a tradire i patti con la sua coscienza. Avrebbe potuto scegliere di non continuare a esporre in pubblico le sue dissertazioni, o di fuggire, ma se lo avesse fatto in ogni caso non avrebbe onorato la sua parola.
Un errore giudiziario, quindi, con un processo finito con la condanna a morte, che ricorda quelli ai quali la storia e la cronaca ci hanno abituati e che rievoca, anticipandolo, il più grande errore contro un innocente commesso dall’umanità e che trova la sua forma più espressiva nell’icona della crocifissione.
La riduzione drammaturgica rispetta l’originalità del testo platonico per raccontare una vicenda umana, che è quella di molti: di chi ogni giorno è soggetto al giudizio e allo scherno della folla, perché “diverso”, e di chi, sotto il peso di un’accusa infamante errata, ha perso la vita.
La giuria popolare che condannò a morte Socrate aveva cinquecento cittadini, e sappiamo che fu sempre la folla a scegliere di liberare Barabba. Quella stessa che oggi, a distanza di oltre 2000 anni da quegli errori, quando non può capire, preferisce condannare.
Il lungo discorso che Socrate porta in sua difesa contro le accuse mossegli dal popolo diventa il pretesto intorno al quale intessere una narrazione che, attraverso il teatro, pone sotto i riflettori il tema dell’errore giudiziario.
Le infondate accuse di Socrate e la reticenza di una giuria poco disposta ad accogliere le sue giustificazioni, narra un “caso” accaduto oltre 2300 anni fa e comunque emblema di un vizio che, fin dalla notte dei tempi, manda in tilt la macchina della giustizia, gettando ombra sul quel principio di inconfutabilità oltre ogni ragionevole dubbio, secondo cui ogni cittadino dovrebbe essere giudicato.
La portata mediatica, oseremo oggi dire, del “caso” Socrate, non solo non ha rappresentato un esempio isolato, ma non sempre è ritornata in considerazione, come paradigma dell’errore, ogniqualvolta si è compiuto un processo ai danni di un innocente.
Lo spettacolo ripercorre le tappe salienti di quel processo e di quel lungo soliloquio con cui un vecchio uomo, reo di saggezza, tenta invano di addurre non solo valide motivazioni a sua discolpa ma, addirittura, di gettare le basi per
un sentire moderno, in cui all’omologazione del pensiero contrappore la capacità di autoanalisi e autodeterminazione.
Socrate è dentro un sistema che non può cambiare, e che cerca rassicurazione e giustizia nell’accusa del diverso.
La sua più grande colpa è nella sua capacità di tessere considerazioni personali, di presagire con lungimiranza la fine di una società in cui il libero pensiero soggiace al pensiero comodo. E a nulla vale la sua capacità dialettica, la sua ostinata controprova che adduce ad ogni accusa. A nulla vale perché quella giuria ha già scelto e, in mente sua, ha già pronunciato l’infamante verdetto.
È da questo processo, usato a pretesto, che lo spettacolo ricorda e rende omaggio alle vittime di errori giudiziari e di un sistema di accusa che sposta il processo dalle aule di tribunale, ai salotti mediatici. In cui spesso, piuttosto che cercare indizi di innocenza, si condanna il colpevole alla gogna mediatica.
L’apologia di Socrate si intreccia così con il caso di Sacco e Vanzetti, i primi italiani sottoposti ad una accusa e alla conseguente condanna a morte in un processo di stampo razziale.
La vicenda di Socrate anticipa l’ingiusto processo, costatogli comunque la vita, di Enzo Tortora.
Risuonano così, nel buio del teatro, la voce e le fasi chiave di un processo che (la magistratura lo ammetterà anni dopo) ha investito un innocente. La narrazione si muove su piani ed epoche differenti. Dallo scranno dell’antica Atene si finisce nell’aula bunker del tribunale di Napoli, passando per la cella di esecuzione di Vanzetti e lo spettacolo termina con il più grande caso di errore giudiziario che la memoria umana possa ricordare: quella crocifissione di un “diverso” compiuta oltre 2000anni fa e per cui l’umanità tutta ha ancora da farsi perdonare.
Enrico Lo Verso ripercorre la disperata difesa che Socrate fece di se stesso, mentre intorno si muovono accusatori, difensori, giudici e compagni in una messa in scena impostata sull’entrata e uscita degli stessi attori da più ruoli e situazioni.
Alla narrazione discontinua degli imputati, si contrappone il dinamismo della danza e il perpetuo movimento del coro che anima la scena di quella stessa forza di vita che gli accusati hanno conservato fino alla loro ultima ora.
“…. Ma è già l’ora di andarsene, io a morire, voi a vivere, chi dei due però vada verso il meglio è cosa oscura a tutti, meno che a Dio”, furono queste le ultime parole che Platone fa pronunciare a Socrate prima di morire.
“Io sono innocente, spero con tutto il cuore che lo siate anche voi”. Furono, queste, le parole di Enzo Tortora ai suoi giudici di appello…
Perché la storia insegna a non dimenticare. Alessandra Pizzi