LUCIA CALAMARO
LA VITA FERMA
sguardi sul
dolore del ricordo
[dramma di pensiero in tre atti]
scritto e diretto da Lucia Calamaro
con Riccardo Goretti, Alice Redini, Simona Senzacqua
assistenza alla regia Camilla Brison
scene e costumi Lucia Calamaro contributi pitturali Marina Haas
produzione SardegnaTeatro, Teatro Stabile dell’Umbria
coproduzione Festival d’Automne à Paris / Odéon-Théâtre de l’Europe
in collaborazione con Teatro di Roma, La Chartreuse – Centre national des écritures du spectacle
e il sostegno di Angelo Mai e PAV
Si domandava cosa fossero i ricordi, questi brandelli di fatti notevoli che non si capiscono più. Il ricordo rimane indietro e non la smette mai di ripeter quello stesso identico spettacolo che metteva in scena al momento in cui l‘avevamo lasciato, quando non era ancora un ricordo. Thomas Bernhard, Gelo
La vita ferma è uno spazio mentale dove si inscena uno squarcio di vita di tre vivi qualunque – padre, madre, figlia – attraverso l’incidente e la perdita. Una riflessione sul problema del dolore-ricordo, sullo strappo irriducibile tra i vivi e i morti e su questo dolore è comunque il solo a colmare, mentre resiste. Un dramma di pensiero in tre atti che accoglie, sviluppa e inquadra il problema della complessa, sporadica e sempre piuttosto colpevolizzante, gestione interiore dei defunti.
LA VITA FERMA È UN DRAMMA DI PENSIERO
La sua gestazione ha avuto in me i tempi faticosi della rivelazione lenta e sommersa, abbordando quel dramma che il pensiero non sa, non vuole, non può gestire. Per arrivare a centrarne il “dramma di pensiero” ho buttato via più materiale di quello che resta. Ma il resto, quello che rimane, è per me il punto ultimo di concentrazione di un racconto che accoglie ,sviluppa e inquadra il problema della complessa, sporadica e sempre piuttosto colpevolizzante, gestione interiore dei morti. Non la morte dunque,e non il problema del morire e di chi muore, che sappiamo tutti risolversi sotto la misteriosa campana del nulla, che strangola sul nascere ogni comprensione. Ma i morti, il loro modo di esistenza in noi e fuori di noi, la loro frammentata frequentazione interiore e soprattutto il rammendo laborioso del loro ricordo sempre cosi poco all’altezza della persona morta, cosi poco fedele a lei e cosi profondamente reinventato da chi invece vive. E con i morti,una riflessione aperta sul lutto che ne deriva, la cui elaborazione non è detto sia l’unica soluzione, anzi, là dove una certa vulgata psicologizzante di malcerte origini freudiane comanda, esige, impone di assegnare il più velocemente possibile al proprio desiderio un oggetto nuovo per rimpiazzare l’oggetto perso, forse è li che interviene un racconto , anche uno piccolo come questo, pratica del singolare per antonomasia, a sdoganare il diritto di affermare la tragica e radicale insostituibilità di ogni oggetto d’amore perso, di ogni persona cara scomparsa. Il dramma di pensare o meno ai morti è comunque il dramma di pensiero di chi resta e distribuisce o ritira, senza neanche accorgersene, un esistenza. Di che tipo sia l’esistenza dei morti non saprei dire, ma come predica Etienne Soreau “non c’è un’esistenza ideale, l’ideale non è un genere d’esistenza”.
La vita ferma è dunque uno spazio mentale dove si inscena uno squarcio di vita di tre vivi qualunque, -padre, madre, figlia- attraverso l’incidente e la perdita. È occorso anche qualche inceppo temporale ad uopo, incaricato di amplificare la riflessione sul problema del dolore ricordo e sullo strappo irriducibile tra i vivi e i morti che questo dolore è comunque il solo a colmare, mentre resiste. [Lucia Calamaro]